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Cosa possiamo fare per proteggere i nostri territori dal fuoco?

    Ph. A. Frau

    Lo scorso 24 luglio dalle campagne di Bonarcado, nell’Oristanese, parte un incendio che in poche ore percorre decine di chilometri nel territorio del Montiferru spingendosi fino alla regione della Planargia, appena più a nord. Circa 20 mila ettari di campagna, boschi e macchia mediterranea ardono per più di 48 ore, mandando in fumo un patrimonio naturale e antropico-rurale inestimabile. È vero che la vegetazione, soprattutto una certa vegetazione, tende a rigenerarsi, ma si parla di un danno all’ecosistema che non potrà essere sanato prima di un decennio almeno. Oltre a questo si aggiunge il danno alla produzione e alle comunità locali più in generale.

    Sicuramente non siamo di fronte a un problema di poco conto e i fattori che concorrono a far sì che questi avvenimenti siano sempre più frequenti e dannosi li possiamo chiaramente individuare in due tipi principali: meteorologia e cambiamenti climatici da un lato, assenza di una programmazione mirata che permetta di preservare, proteggere e prevenire dall’altro. È inutile dire che capire cosa sia successo e svolgere indagini per trovare i colpevoli serve a ben poco in realtà, perché l’unico modo che abbiamo per evitare danni irreparabili a breve e lungo termine è proprio quello di far sì che non avvengano. E questo lo si può fare soltanto agendo alla base del problema, ovvero riportando l’attenzione sull’elemento che più direttamente subisce: il territorio.

    Parlare di territorio non significa soltanto parlare della natura e degli elementi ambientali. Parlare di territorio significa parlare di ecosistema in cui uomo e natura devono per forza convivere, significa parlare di storia, di identità, di comunità e di cultura. Significa parlare di lavoro e di produzione. Significa parlare di senso civico ed educazione. Significa agire in termini tali da sviluppare nelle persone non soltanto la conoscenza ma anche e soprattutto la consapevolezza. In altre parole, significa capire come possiamo collaborare col mondo naturale per far si che si possa convivere nel miglior modo possibile, poiché le azioni che si ripercuotono sulla natura si ripercuotono inevitabilmente anche sull’uomo e viceversa.

    Cosa possiamo fare concretamente?

    La strada è lunga e non facile. Ma ognuno di noi può fare la propria parte, soprattutto in un periodo in cui spesso non si ottengono risposte e risultati concreti da parte delle istituzioni. Sono allora le comunità e i professionisti di settore a doversi maggiormente esporre o mettersi in gioco. I campi di azione in cui agire sono svariati, ma è necessaria collaborazione e dialogo reciproci.

    Il primo passo è forse quello di creare educazione, conoscenza e consapevolezza, comunità che abbiano un senso civico, che conoscano e siano consapevoli nei confronti dei propri territori e più in generale verso gli ambienti naturali e antropici. L’uomo può usufruire dell’ambiente naturale per trarre dei vantaggi non solo per se ma per entrambi. I questo senso deve conoscere la storia dei propri luoghi e intraprendere un dialogo costante con essi. La conoscenza e la consapevolezza passano attraverso una corretta educazione, dai più piccoli ai più grandi. La scuola, le associazioni, gli enti locali, i volontari e i professionisti dovrebbero promuovere, come avviene in maniera soddisfacente in parecchie comunità, questo tipo di processi mediante incontri, dialoghi, laboratori, visite guidate, ecc. Tutti abbiamo da imparare.

    Il territorio va studiato in tutti i suoi aspetti, conosciuto e compreso, vissuto. Serve una  programmazione strategica seria e una corretta pianificazione del territorio con azioni di prevenzione, pulizia e presidio. Non basta avere i mezzi e gli uomini a disposizione da spiegare nel momento in cui è già troppo tardi. Questo tipo di fenomeni non possono in alcune situazioni essere evitati, ma ci dovrebbe essere un’attenzione molto più ampia da parte delle istituzioni soprattutto per quanto riguarda la distribuzione delle risorse economiche e finanziarie. La programmazione dev’essere fatta ad hoc e in largo anticipo, utilizzando le informazioni a disposizione, gli esperti e le tecnologie in grado di supportare una corretta pianificazione del territorio e di fare reale prevenzione. Inutile ripetere che è necessario mettere in campo una concreta ed efficace campagna di prevenzione mediante il controllo e la pulizia del territorio, nei tempi e risorse dovuti. Molto spesso si sente parlare di prevenzione ma ancora a luglio assistiamo a scenari indecenti per cui le nostre strade, campagne e sottoboschi sono tutt’altro che puliti. A volte le responsabilità non sono soltanto delle istituzioni. Bisognerebbe partire anche dal proprio orticello o terreno e attuare delle campagne di auto prevenzione e controllo. Non sempre è scontato che avvenga e ognuno deve fare la propria parte.

    Dobbiamo tornare a presidiare i territori, porre le comunità locali in primis in condizioni di farlo mediante strumenti di corretto sviluppo rurale e attenti alle esigenze delle popolazioni del luogo. Ci vuole dialogo, collaborazione e partecipazione concreta tra istituzioni, professionisti e comunità. Il settore agropastorale e le istituzioni locali possono formulare e attuare strategie condivise e mirate: per esempio, in alcune aree boschive e di vegetazione secca possono essere alternate a pascoli o colture basse così da interrompere il percorso del fuoco e allo stesso tempo produrre in un’ottica di circolazione dell’economia locale, poiché in quei punti non si interromperebbe la produzione (processi utilizzati già in altri paesi europei); i rimboschimenti andrebbero effettuati con azioni mirate e con le giuste specie, in modo da non creare danni di diverso tipo al suolo e ai terreni che già soffrono di altre “patologie”; le strutture agropastorali e gli intorni spesso andrebbero ripensati e riprogettati con una visione strategica comune e più ampia volta all’idea del presidio produttivo e di qualità, integrato con il luogo e che garantisca aree pulite, controllate e sicure per gli animali e per il lavoro; gli stessi luoghi possono ospitare strutture e centri per il presidio e la formazione, per il controllo e il monitoraggio in loco.

    Alla pianificazione del territorio in generale va affiancata con medesima attenzione quella delle le aree urbane e periferiche dei paesi sardi, che vivono in simbiosi con i loro territori. Non nell’ottica dell’una esclude l’altra ma in quella di continuità, dialogo e rapporto reciproco, prestando particolare attenzione ai “collegamenti” fra i vari sistemi (infrastrutture, spazi abbandonati, aree marginali).

    La questione incendi in Sardegna è un problema di vecchia data e un’emergenza che si ripete puntualmente ogni estate e che si ripercuote a breve e lungo termine sulle comunità. Ricordiamoci però che l’emergenza più grande continua ad essere quella educativa e sociale. Una volta compreso questo, la nostra strada sarà meno faticosa e più chiara. Tutti possiamo e dobbiamo fare la nostra parte.

    Tutte le foto sono di Alessandro Frau. IG account: @afrau88