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Sa Pardina, un gioiello nel centro storico di Orroli

    Qualche settimana fa sono stata a Orroli, un piccolo paese del Sarcidano, ricco di storia e bellezze paesaggistiche, tradizioni, natura e archeologia. È il paese del Nuraghe Arrubiu, di numerose Domus de Janas e di importanti corsi d’acqua che danno al paesaggio un tocco quasi fiabesco.

    Tutto è iniziato quando un giorno venni in contatto con Paolo, custode di un luogo magico nel centro storico del paese. È così che decisi di andare a fargli visita e mi ritrovai a Sa Pardina. Sa Pardina non è soltanto una struttura ricettiva, è molto di più: una vecchia casa restaurata in stile tradizionale che ti accoglie in un’atmosfera magica dove il tempo sembra essersi fermato. In Via Eleonora d’Arborea, una stradina stretta come tutte quelle del centro storico, a fine ‘800 sorgeva un granaio. In posizione strategica e a due passi dalla piazza della Chiesa di San Vincenzo Martire. Paolo mi racconta che la casa ha una lunga storia e che questo “gioiello” si tramanda da ben quattro generazioni con un filo conduttore: la madrina. Sa Pardina, appunto, nella lingua sarda indica la madrina. Rosa Orrù, una delle prime proprietarie, battezzò il nonno di Paolo nel 1924, che poi ottenne la casa. Per volontà di suo nonno la casa venne offerta poi a un’altra donna, sempre chiamata Rosa, che a sua volta divenne la madrina di Paolo. Quest’ultima decise di occuparsi per intero del restauro dell’abitazione, ridandole di fatto vita. A Paolo invece è toccata la consegna delle chiavi e forse il compito più importante: custodire la proprietà e con essa la storia e la memoria della casa e della famiglia.

    Il progetto di Sa Pardina come oggi viene presentato ha radici profonde, che partono dalla riconoscenza verso colei che ha deciso di affidare a Paolo questa eredità. Ma questo è solo il punto di partenza, poiché l’idea più importante è quella di fare, di un luogo storico e tradizionale, anche un luogo di accoglienza autentica, nonché un’esperienza di valorizzazione della comunità e del territorio di un piccolo paese dell’entroterra. Arrivati a Sa Pardina, Paolo ti accoglie presentandoti gli spazi senza tempo della casa: un piccolo cortiletto da accesso alla porta principale e all’ampia sala a doppia altezza, con le travi in legno e sa “cannizada, il solaio incannucciato come da tradizione in Sardegna. È il luogo della prima accoglienza, dove si trova il focolare e la cucina, dove si possono condividere momenti comuni, come il pranzo o una chiacchierata. Si resta al piano terra o si sale al primo piano dove si trovano le camere da letto e un piccolo angolo lettura/relax sul soppalco, una piccola biblioteca in casa dove è facile perdersi tra romanzi, libri storici e sulla Sardegna. Tutto è curato, dettagliato, semplice ed essenziale. Come la camera Il Campanile. Un letto al baldacchino, l’antica scrivania, qualche seduta e il legno, il vero protagonista: nelle porte, al pavimento e nella parete che separa la camera dal bagno. Piccole finestrelle che si affacciano sul centro storico e là davanti, a poche decine di metri, la sagoma del campanile, punto di riferimento del profilo urbano.

    La casa era in pessime condizioni, mi racconta Paolo. È stato eseguito un restauro conservativo, molto impegnativo, cominciando dalle coperture fino agli intonaci. Sono state conservate e preservate le pendenze e la posizione delle travi originarie. Per la sala principale è stato utilizzato il legno di castagno che ha sostituito quelli vecchi, i cui pezzi sono stati ripuliti, tagliati e utilizzati per un’altra funzione. Gli arredi provengono in buona parte da vecchi pezzi finemente restaurati, che ancora hanno da raccontare una storia importante. Svegliarsi la mattina, in un posto del genere, nel silenzio di un piccolo paese, con il rumore della natura in sottofondo e il fumo dei camini tutt’intorno, rappresenta molto più che una semplice esperienza ricettiva.

    Paolo mi dice che vorrebbe occuparsi a tutto tondo di turismo, fare di ciò il suo unico lavoro e dar vita a progetti per la comunità del suo paese. Ad esempio far rivivere la bottega artigiana di suo nonno, far visitare i locali e restaurare alcuni suoi oggetti come la 500 giardiniera del 1974, di cui si sta occupando da due anni. Ridare vita a vecchi edifici e agli oggetti al suo interno, oltreché recuperare e tramandare la loro memoria storica, significa anche ridare dignità non solo all’edificio ma all’intera comunità. Per fare ciò occorre conoscenza, consapevolezza e tenacia, avere voglia di dialogare con la propria gente e con il prossimo, portare avanti dei progetti e coltivare tanti piccoli semi avendo cura giorno dopo giorno delle piantine che nascono.

    Tutte le foto del pre restauro sono state gentilmente concesse e sono di proprietà di Paolo Schirru